Parola di Vita in PPS < Misteri Dolorosi - Meditati da Chiara Lubich
Gesù, uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perchè dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”. (Lc 22,39-46)
In quella tragica notte nell'orto degli ulivi, Gesù sprona i suoi alla preghiera, con accenti accorati e usando per ben due volte le stesse parole: “Pregate, per non entrare in tentazione”. (Lc 22,46). Questo passo del Vangelo, come del resto tutta la vita e l'insegnamento di Gesù, è un invito alla preghiera come qualcosa di indispensabile, di essenziale all'essere stesso di ogni uomo e di ogni donna. Gesù pregava il Padre suo e ci ha insegnato a fare altrettanto, rivolgendoci a Dio come Abbà, Padre, papà, babbo mio, babbo nostro con la certezza della sua protezione, con la sicurezza, con il cieco abbandono al suo amore, con quella forza e quell'ardore che ci permettono di affrontare ogni situazione della vita. Perché questo forte richiamo di Gesù? Perché, conoscendo egli la natura umana, sa che, una volta scattata la molla della tentazione, essendo la “carne debole”, c'è il pericolo che si ceda. Siamo in mezzo al mondo e, da qualsiasi parte ci giriamo, troviamo qualcosa che è in antitesi con Cristo e con la sua mentalità. Nel mondo si respira aria di consumismo, di edonismo, di materialismo, di secolarismo dappertutto. E proprio per difenderci da queste insidie, sempre pronte a colpirci e poi a scoraggiarci, Gesù ci indica il mezzo per eccellenza: la preghiera. Ma poiché sa che sa soli, in un mondo come il nostro, sarebbe difficile farcela, si offre lui stesso di darci una mano. Questo avviene quando preghiamo insieme, uniti nel suo nome e concordi nell'amore. Infatti, in questo modo, è lui stesso, presente fra noi secondo la sua promessa: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), la nostra più grande risorsa nelle prove della vita. Infatti, come diceva Giovanni Crisostomo, “grande è la forza proveniente dall'essere riuniti... perché, stando riuniti insieme, cresce la carità; e, se cresce la carità, necessariamente cresce fra noi la realtà di Dio”. Le parole di Gesù “Pregate, per non entrare in tentazione” sono parole angosciate dell'uomo-Dio, che vive il preludio della sua passione e vorrebbe evitare ai suoi discepoli dolori indicibili e dure lotte. Per raccogliere e far nostre le parole di Gesù dobbiamo, dunque, rivolgerci, come lui, al Padre, con la coscienza della nostra fragilità, ma anche con estrema Fiducia. E far questo sia con la preghiera personale, sia con quella comunitaria, dove Gesù è fra noi.
Allora il governatore domandò: “Chi dei due volete che vi rilasci?” Quelli risposero: “Barabba!” Disse loro Pilato: “Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?” Tutti gli risposero: “Sia crocifisso!” Ed egli aggiunse: “Ma che male ha fatto?” Essi allora urlarono: “Sia crocifisso!” Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, prese dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, di questo sangue; vedetevela voi!” E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perchè fosse crocifisso. (Mt 27,21-26)
Contemplare la flagellazione di Gesù significa imparare ad accettare i dolori fisici, grandi come una malattia grave o piccoli come uno stato di stanchezza. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli alla sua passione, perché così acquistano un valore infinito.
L'uomo soffre certamente per un fattore negativo come un incidente o una malattia o una disavventura... Ma Dio, che è amore, dà un altro motivo, un senso nuovo al suo patire: con esso l'uomo dà un contributo alla propria salvezza, alla propria santificazione, e concorre a quella dei suoi fratelli.
Sì, ci vuole pure il nostro patire per riuscire a cambiare le persone, a creare un mondo nuovo.
Per noi, infatti che vogliamo lavorare per il regno di Dio, è soprattutto la croce che vale, e vediamo perciò nella malattia qualcosa di prezioso: essa ci ricorda quel qualcosa che Gesù ha scelto per la redenzione del mondo, che è, appunto, il dolore. Il dolore è un dono che Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci o per consolare glia ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio.
In tutte le sofferenze, comunque, bisogna mettere in pratica quello che vado ripetendo da quando ho incoraggiato a scegliere nella vita solo Gesù abbandonato come proprio ideale. Dire a lui: «Sei tu, Signore, l'unico mio bene, perché ho scelto te; non ho scelto altri. Quindi io voglio te. Se mi dai delle gioie, per rinvigorirmi, in modo che sia più facile abbracciare poi il dolore, ben vengano. Ma io ho scelto il dolore perché in esso ci sei tu».
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!” E sputandogli addosso, gli tolsero la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo. (Mt 27,27-31)
Contemplare l'incoronazione di spine di Gesù significa imparare ad accettare i dolori morali, le delusioni, le amarezze, le piccole e grandi umiliazioni che nella vita inevitabilmente dobbiamo subire. Accettarli ed offrirli a Gesù, unirli alla sua passione, perché così acquistano un valore infinito.
Come dobbiamo comportarci, quindi, quando ci si presenta un dolore? Si va in fondo al cuore e si dice: «Gesù, io voglio seguirti, anche in croce, anche abbandonato, e adesso ne ho l'occasione. Ti offro questo dolore, sono felice di avere questo dolore da donarti» E poi ci si mette ad amare il fratello, o si continua a fare qualsiasi altra volontà di Dio. In genere, se sono dolori spirituali passano, e così si può di nuovo riprendere il cammino della vita con pace e gioia.
Tutte le circostanze negative sono quindi così come sono, perché materialmente sono così; ma c'è pure in esse la mano, la Provvidenza di Dio che le trasforma, come in un'alchimia, e le fa diventare carburante per la nostra vita spirituale.
Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci! Perchè se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”. (Lc 23,26-31)
Questo mistero, la condanna a morte di Gesù, ci spinge a meditare sulla nostra morte. Sorgerà il giorno nel quale anche per noi arriverà la “condanna a morte”, un giorno che del quale noi non vedremo il tramonto su questa terra. E allora il modo migliore per prepararsi a quel giorno è accettarlo subito, sin d'ora, dicendo con tutto il cuore a Gesù: “Quando verrà la mia condanna a morte, voglio come te accettare la morte. Io l'accetto quando tu vuoi, come tu vuoi, anche sotto un'automobile, anche a causa di una malattia, anche subito, anche fra dieci anni. Io l'accetto come l'hai accettata tu.”
Ma per vivere coerentemente con questo spirito, non dobbiamo mai dimenticare quelle parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. (Lc 9,23).
Non c'è cristiano senza la croce. Se non portiamo la nostra croce non possiamo seguire Gesù che sale al Calvario portando la sua croce. La croce è la radice della carità. Con essa abbiamo una vita solida, ben piantata, protetta contro le tempeste. Con essa si cammina sicuri. Due grandi amori deve possedere il nostro cuore: Maria come punto d'arrivo e la croce come mezzo per essere un'altra lei nel mondo, e adempiere i disegni di Dio.
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perchè non sanno quello che fanno”. (Lc 23,33-34) Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa. (Gv 19,25-27) Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò. (Lc 23,44-46) Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. (Gv 19,32-34)
In questo mistero la Madonna ci addita un dolore particolare di Gesù, quello supremo, quando nel culmine della sua sofferenza, ha gridato: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato» (Mt 27,46). Il Figlio di Dio ebbe in quel terribile momento l'impressione che il Padre, che era uno con lui, lo abbandonasse. E lo strazio che provò nel suo intimo fu talmente abissale che non lo si può spiegare. Sperimentava nel suo cuore divino quella separazione da Dio che l'uomo s'era procurato col peccato con tutte le sue conseguenze: la sua anima era immersa nel buio più nero, nel dubbio più atroce, nell'assenza completa di pace; avvertiva tutto il peso dei nostri peccati che s'era addossato... Ma nonostante tutto egli si affidava con totale fiducia al Padre: «Padre - disse - nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). Maria, polarizzando la nostra attenzione su Gesù crocifisso e abbandonato, vuole aiutare anche noi a trovare la forza per superare ogni difficoltà. Se pure il nostro cuore soffrirà per una qualche mancanza di pace, di tranquillità, di sicurezza, ricorderemo quella sofferenza di Gesù. Se avvertiremo l'aridità, il buio, la confusione dentro di noi o se ci attanaglierà il dubbio o la pesantezza dei nostri peccati, penseremo a lui. E, andando in fondo al nostro cuore, gli diremo che vogliamo fare come lui: accettare il dolore, dirgli il nostro “sì”, amarlo sempre, subito e con gioia. Se così faremo, e continueremo poi a vivere la nostra vita cristiana, sperimenteremo, tra l'altro, come per miracolo, che, quando lo si abbraccia, il dolore - specie se spirituale - si tramuta, per una divina alchimia, in amore. E con la sofferenza ben portata crescerà in noi l'unione con Dio, e aiuteremo gli altri a trovarla o rinsaldarla.
Questo mistero, insieme a Gesù abbandonato, ci presenta la Madonna che, ai piedi della croce, pronuncia di nuovo il suo “sì” nella desolazione, cioè in un abisso di dolori più grande di ogni umana capacità.
Maria Desolata ai piedi della croce, nello straziante «stabat» che fa di lei un mare amaro di angoscia, è l'espressione più alta, in umana creatura, dell'eroicità di ogni virtù. Ella è la mansueta per eccellenza, la mite, la povera fino alla perdita del suo Figlio, il frutto del suo grembo, quella che poteva dirsi la sua opera, Gesù. Ella è la giusta che non si lamenta d'esser privata di ciò' che le appartiene per pura elezione, la pura nel distacco affettivo a tutta prova dal suo Figlio Dio... In Maria Desolata è il trionfo delle virtù della fede e della speranza per la carità che l'accese durante tutta la vita e qui l'infiammò nella partecipazione così viva alla redenzione. Maria Santissima ci insegna nella sua desolazione, che l'ammanta di ogni virtù, a coprirci di umiltà e di pazienza, di prudenza e di perseveranza, di semplicità e di silenzio, perché nella notte di noi, dell'umano che è in noi, brilli per il mondo la luce di Dio che abita in noi. Maria Addolorata è la Santa per eccellenza, un monumento di santità cui tutti gli uomini che sono e saranno possono guardare per imparare a rivestirsi di quella mortificazione che la Chiesa da secoli insegna e che i santi, con note diverse, hanno in tutti i tempi riecheggiato.
Amare Maria Desolata significa tante cose: non solo «perdere», saper perdere nel cuore di Gesù tutto ciò che abbiamo e siamo, per ritrovano poi, al momento opportuno, cresciuto e moltiplicato; ma è spesso stare come Maria ai piedi di qualche crocifisso vivo, e non riuscire, non poter togliere da quell'anima e da quelle carni lo strazio che le tormenta quasi fino alla disperazione. Preferiremmo essere noi a quel posto. E invece ci tocca assistere senza far nulla di fronte al chicco di grano che, morendo, geme, sicuri della risurrezione e dei frutti; ma per ora in uno «stabat» doloroso che sale non a conforto di chi amiamo, ma dritto in cielo, come incenso, ad implorare pietà per noi che, assieme, consumiamo la nostra vita. E lo «stabat» impotente. In quei momenti pensiamo a Maria Desolata e preghiamola di alleviare il dolore di chi soffre e di anticipare i tempi del sollievo.
Ricorriamo a lei che è la nostra Madre. Proprio in quei momenti, infatti, Gesù, dicendo “Donna, ecco il tuo figlio” (Gv 19,26) e , rivolto a Giovanni,: “Ecco tua madre” (Gv 19,27), ha affidato a Maria l'umanità e ha indicato a ciascun uomo la Madre.
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